Curare gli animali con i fiori di Bach

Curare gli animali con i fiori di Bach

Si possono curare gli animali con rimedi energetici? Laura Cutullo, medico veterinario, cura da anni i suoi pazienti a quattro zampe con i fiori di Bach e con l’omeopatia. Questa apertura, che ha illustrato in vari libri (i primi pubblicati sull’argomento in italiano) non esclude tuttavia il ricorso occasionale al farmaco allopatico.

Una porta con l’insegna “Veterinario” in una animata via cittadina: siamo a Milano, nello studio di Laura  Cutullo che sta salutando la proprietaria di uno degli ultimi pazienti della giornata, un cagnolino al quale Laura ha prescritto un rimedio floriterapico. “Ma al paziente che mi è stato portato prima”, precisa, “ho dato un farmaco allopatico perché lo ritenevo necessario”. Laura Cutullo infatti, oltre ad avere una formazione classica in medicina veterinaria, è anche omeopata, floriterapeuta e autrice di tre libri dedicati all’uso della medicina naturale e in particolare della floriterapia e dell’omeopatia per gli animali.
Nel 1997 ha pubblicato “Fiori di Bach per gli animali”, il primo manuale completo di floriterapia veterinaria al mondo. Nel 2011 è seguito “Cure naturali e alimentazione”, una raccolta di consigli sull’uso delle medicine naturali e sulla preparazione di alimenti per gli animali domestici, senza pretendere ovviamente di bandire i cibi industriali. Nel 2016 infine è uscito “Fiori californiani per gli animali” dedicato ai nuovi fiori che in anni più recenti si sono aggiunti ai “guaritori” di Edward Bach e al loro uso per gli animali.
Oltre a offrire ai suoi pazienti cure omeopatiche, floriterapiche, energetiche e anche fitoterapiche  a seconda dei casi, Laura Cutullo ospita regolarmente nel suo studio specialisti di altre discipline naturali quali le terapie con la luce, l’agopuntura, l’osteopatia e persino la modernissima “animal comunication”, oltre che specialisti nelle varie branche della medicina veterinaria convenzionale, in modo da offrire ai suoi pazienti un ventaglio completo di terapie da applicare a seconda dei casi.

Oggi questa scelta fa di lei una figura nota tra i veterinari italiani (e non solo), ma un tempo le ha creato qualche difficoltà.
“Quando ho iniziato con la floriterapia, venticinque fa, venivo guardata con grande diffidenza. Oggi invece la gente è molto più ricettiva: magari ha provato la medicina naturale su di sé, o sui propri bambini e quindi è disponibile anche a trattare i propri animali con metodi naturali. Anzi, direi che oggi l’atteggiamento del pubblico ha creato l’esigenza che un certo numero di veterinari si occupino ad esempio di medicina omotossicologica, di Fiori e così via. Lo stesso vale per i prodotti: anche ditte che un tempo usavano solo prodotti di sintesi propongono prodotti molto vicini alla fitoterapia. D’altro canto è anche aumentata la resistenza da parte di coloro che si oppongono a questo tipo di terapie.

Che cosa ha fatto scattare questo suo interesse per la medicina naturale? Da ragazza volevo studiare etologia, ossia la scienza del comportamento animale. Nello stesso tempo però nutrivo un vivo interesse per la medicina veterinaria. Mi sarebbe piaciuto unire questi due rami che allora erano molto separati. Così sono andata a parlare con Danilo Mainardi che a quei tempi era l’etologo italiano più conosciuto. Lui mi disse che  con l’etologia non  si mangiava e mi consigliò di scegliere la facoltà che più mi piaceva, tanto più che l’etologia non esisteva come studio universitario a sé, ma solo come corso  di specializzazione da integrare ad un altro studio. Così mi sono iscritta a veterinaria. Durante gli anni di studio ho sentito parlare di omeopatia,  mi sono incuriosita e ho letto alcuni libri sull’argomento. Sono rimasta molto colpita dal fatto che l’omeopatia tiene in considerazione tutta una serie di sintomi mentali, ossia l’espressione mentale, psicologica della malattia. Quindi mi sono detta che poteva essere un modo per unire le mie due passioni: quello della cura e quello dell’attenzione al comportamento. Tuttavia per entrare in una scuola di omeopatia bisognava essere laureati in medicina e quindi ho dovuto aspettare. Nel frattempo ho scoperto i fiori di Bach per una strana coincidenza. Infatti, un giorno, quello che poi sarebbe diventato mio marito mi ha mostrato un boccettino di fiori di Bach dicendomi che gli era stato consigliato da una collega per combattere lo stress di cui soffriva in quel momento. Dato che sono un tipo curioso, ho fatto di tutto per scoprire che cosa fossero i fiori di Bach. A quei tempi non esisteva internet e quindi sono andata in libreria e ho comprato un libricino di Edward Bach. L’ho letto e sono rimasta folgorata perché toccava aspetti ancora più sottili di quelli presi in considerazione dall’omeopatia. Nel frattempo mi ero laureata e mi chiedevo come avrei potuto integrare quanto avevo appreso sui fiori nella mia pratica di veterinario. Ho anche cominciato la scuola di omeopatia e ho aperto il mio studio. Subito mi sono portata il set di fiori e ho iniziato a usarlo con i miei clienti che a quel tempo erano pochissimi. Dato che mi interessavo sempre al comportamento, facevo domande su questo aspetto, anche a chi arrivava per una semplice vaccinazione. Osservavo il cane pauroso, il gatto che non voleva uscire dalla gabbietta e lo integravo con quanto avevo appreso sull’uso dei fiori. Un mio compagno di corso alla scuola di omeopatia era Cesare Mariscotti, famoso agopuntore e anatomopatologo che si è interessato al mio uso dei fiori e mi ha incoraggiato ad andare avanti. Dopo un po’ di anni mi ha telefonato la casa editrice Xenia che mi ha chiesto se volevo scrivere un libro per loro sull’uso dei fiori di Bach in veterinaria.

Lei quindi è stata un’autentica pioniera, almeno in Italia? Solo un certo senso: anche in Italia c’erano già allora alcuni veterinari che usavano i fiori, ma sono stata la prima ad avere la possibilità (e il coraggio!) di esporsi per così dire pubblicamente con un uso sistematico dei fiori, il che allora era fuori dalle idee comuni delle persone, in particolare dal mondo della veterinaria.

Lei usa a seconda dei casi l’omeopatia, i fiori di Bach o i fiori californiani? Si, posso usare l’uno, l’altro o tutti e tre. Tutto dipende dal disturbo e dalle situazioni.

Dà anche farmaci allopatici? Considero la medicina, nel mio caso la medicina veterinaria, come un tutto che ha al centro la salute e il benessere del paziente. Ho una formazione di tipo classico universitario, ho fatto una scuola di omeopatia quadriennale e ho esperienza anche in fatto di floriterapia. Quindi sono tutto questo: sono floriterapeuta, omeopata, ma posso dare un antibiotico o un altro farmaco allopatico quando è il caso di darlo per aiutare i miei pazienti. Poi la scelta terapeutica dipende dalle situazioni e anche dalle possibilità di approccio all’animale, che è un discorso da non dimenticare. Infine c’è da tener presente l’atteggiamento del proprietario. Infatti , se un proprietario rifiuta assolutamente la medicina naturale, posso invitarlo a cercarsi un altro veterinario, oppure ( ed è quello che faccio più spesso) tentare di portarlo piano piano a cambiare atteggiamento, magari facendogli conoscere qualche piccolo rimedio di tipo fitoterapico, qualche fiore, in modo che cominci a pensare che c’è forse qualcosa di diverso che può aiutare e gradatamente entri nel sistema olistico di fare medicina.

Che differenza esiste tra omeopatia e floriterapia? Si possono usare insieme o si escludono a vicenda? I fiori agiscono soprattutto su un piano animico, emotivo ed emozionale. Per questo possono essere abbinati con facilità a metodi più “concreti” come l’allopatia perché comunque lavorano su un piano molto diverso da quello del farmaco. Lo dico spesso ai miei colleghi che praticano la chirurgia, perché l’animale ricoverato per un’operazione ha bisogno anche di un supporto emotivo oltre ai farmaci e in questo campo i fiori possono essere utilizzati benissimo. Per quanto riguarda l’uso dei fiori insieme all’omeopatia, il piano animico ed emotivo è lo stesso, perciò secondo me omeopatia e floriterapia si possono usare insieme solo se si conoscono molto bene entrambe. Altrimenti possono esserci delle interferenze che non fanno male al paziente, ma che rendono difficile capire come gestire e continuare la terapia.

Si dice spesso che la medicina naturale non ha effetti collaterali e quindi non presenta gli stessi rischi della medicina allopatica. Questo vale anche nel caso degli animali? Infatti. Per i fiori non vi è nessuno rischio di effetti collaterali e quindi nessun pericolo. Nel caso dell’omeopatia, possono esserci degli effetti negativi anche se non si tratta di effetti collaterali dovuti alla sostanza. Un rimedio che viene dato troppo sovente, o nella diluizione sbagliata, può provocare, specie in soggetti particolarmente sensibili, una serie di sintomi. Per questo motivo l’omeopatia va usata da persone che conoscono bene sia le patologie, che l’anatomia e la fisiologia. Il rimedio omeopatico è un rimedio che va ad agire, oltre che sulla parte emozionale, anche su tutto il fisico a partire dagli organi e dalle cellule. Perciò chi lo somministra deve anche conoscere molto bene il rimedio e avere oltretutto una  certa sensibilità per capire con quale frequenza e a quale potenza va somministrato.

Che differenza c’è tra i fiori di Bach e quelli californiani? Una differenza sostanziale, anche se la preparazione è praticamente la stessa. Bach è morto nel 1936 ed è stato il fondatore del metodo. Ha lasciato i suoi trentotto fiori che sono la  sua eredità. I fiori californiani arrivano alla fine degli anni Settanta e i due ideatori continuano a lavorare su nuovi fiori. Secondo me, i 38 fiori di Bach lavorano sulle emozioni fondamentali dell’umanità e dell’animalità. Sono in un certo senso gli archetipi e lavorano tutti fortemente sulla paura: paura di non avere l’affetto, paura di non essere all’altezza, paura che possa succedere qualcosa di brutto, paura di affrontare se stessi o il mondo… Quindi, anche se abbiamo sette gruppi distinti ognuno dei quali lavora su un’emozione specifica, si può dire che alla base c’è sempre la paura. Questo perché Bach è vissuto in un momento in cui c’era molta paura. L’Europa era appena uscita dalla prima guerra mondiale e c’era già il sentore della seconda. C’erano le dittature emergenti c’era la terribile crisi economica, e Bach con i suoi fiori ha ridato la speranza, ha dimostrato che l’uomo poteva guarire se trovava la speranza. Anche oggi abbiamo bisogno di speranza perché ciò fa parte del destino dell’uomo e quindi i fiori di Bach non hanno perduto la loro validità. Katz e Kaminski, la coppia che ha sviluppato i fiori californiani,  sono dei grandi entusiasti della floriterapia di Bach, ma sono anche stati un uomo e una donna che hanno vissuto un momento storico del tutto diverso, caratterizzato dal riscatto delle minoranze, dal riscatto della donna, dal riscatto della persona. In quegli anni se da una parte c’era la massificazione portata dalla pubblicità e dal consumismo,  dall’altra parte c’era la necessità di sentire la persona come assolutamente unica. Non per niente gli anni Settanta hanno visto il fiorire delle psicoterapie. Quindi i fiori californiani vanno a toccare tutta una serie di problematiche tipiche dalla nostra epoca, come il problema della donna che fatica a portare avanti il suo ruolo di madre e il lavoro. Toccano i problemi legati alla famiglia d’origine, quelli generati dalle nascite e dai concepimenti non naturali, quelli che riguardano l’identità sessuale e altri ancora. Potrei ancora citare i disagi legati al distacco dalla natura e dai ritmi naturali. La cosa straordinaria e che gli animali risentono anch’essi delle stesse difficoltà.

Come è possibile? Stando vicino a noi, assorbono i nostri malesseri e la nostre angosce. Parlo  naturalmente degli animali che condividono i nostri spazi, i nostri ritmi e che diventano membri di una famiglia interspecifica. Inoltre l’animale oggi ha meno possibilità di sviluppare la propria animalità e di interagire con altri animali. Il mio ambulatorio veterinario si trova vicino al centro di Milano, qui i cani devono stare al guinzaglio e non possono sporcare vicino ai negozi. Per i gatti la situazione non è migliore. Io stessa ho un gatto e sto all’ottavo piano e dunque è ovvio che il mio gatto rimane nell’appartamento. Quindi noi siamo tutto il mondo e tutto l’interesse dei nostri animali. Siamo l’elemento che varia nella loro vita e perciò ci osservano e imparano.

Si sente dire che a volte gli animali domestici contraggono le stesse malattie dei proprietari. È esatto? Ho osservato più volte nel mio ambulatorio che, quando faccio una diagnosi a un animale, il proprietario esclama stupito: “ Come me!”, oppure, rivolto alla moglie o al marito: “Come te!” La cosa è comprensibile in quanto le malattie secondo me hanno un’origine psicologica e quindi il contatto di cui parlavamo prima spiega questo fenomeno. A volte invece del fenomeno di rispecchiamento vediamo casi di compensazione. Ad esempio ci può essere un proprietario eccessivamente remissivo e incapace di farsi valere il cui cane si mostra molto aggressivo. È come se il cane provasse a dire al proprietario: “Tira fuori la grinta!”  dobbiamo capire che animali sono dei compagni di viaggio e come tali ci fanno vedere qualcosa di noi che ci ostiniamo a non vedere. Può trattarsi di una tematica particolarmente dolorosa, ma loro comunque provano a mettercela davanti. Poi dipende da noi se accettare questo tipo di suggerimento oppure no.

Lei fa questi discorsi con i proprietari? Dipende da come si presentano le cose. È chiaro che posso dire a una persona solo ciò che è pronta a sentire. Ma se l’argomento viene introdotto nel modo giusto, non ci sono problemi ad arrivare a questa conclusione. Poi da lì la persona dovrà fare dei passi per lavorare su di sé ed è chiaro che non li farà con me. In ogni caso però credo che dobbiamo smettere di considerare l’animale come qualcosa che è al nostro servizio e cominciare a vederlo come un individuo che ha un vastissimo patrimonio di emozioni e di sentimento, una sua piccola anima, se vogliamo chiamarla così, e un suo accesso alle dimensioni sottili. E credo che  dobbiamo imparare a rispettare veramente questa individualità. Non perché è utile a noi, fisicamente ed emotivamente, ma perché è un suo diritto.

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