“Chi saresti senza la tua storia?”

“Chi saresti senza la tua storia?”

“Quando il modo di pensare cambia, i problemi scompaiono”, questa è la filosofia di Byron Katie che ha avuto l’opportunità di vivere una rinascita dopo 10 anni di profonda depressione in cui nulla più aveva senso e in cui tutto sembrava ammantato da buio profondo…ma si sa, il buio non potrebbe esistere senza la luce e, in un giorno qualsiasi Katie (così la chiamano tutti affettuosamente) ha avuto un istante di risveglio, uno spiraglio che l’ha fatta riconnettere con la vera natura del suo essere o, come direbbe lei, un “risveglio alla realtà”. Dal 1986 Katie ha fatto conoscere “The Work” a migliaia di persone in tutto il mondo aiutandole a liberarsi dalla sofferenza. “Amare ciò che è – 4 domande che possono cambiare la tua vita” è uno dei libri scritti da Byron Katie che porterà il lettore nelle profondità del “Lavoro”

Incontro con Sandra Killer, candidata facilitatrice “The Work”

a cura di Natascia Bandecchi

Cos’è “The Work” ?
È uno strumento per conoscersi meglio, conoscere soprattutto cosa ci succede quando crediamo ad un pensiero. “The Work”  può aiutare a trovare un luogo di maggiore pace rispetto a pensieri stressanti che possono alterare l’equilibrio interiore.

Come funziona questo strumento di indagine ?
In maniera molto semplice, mi soffermo su una situazione specifica che desidero indagare – per esempio a quella volta in cui mi sono infuriata con il mio partner oppure mi sono sentita ferita, non capita, messa da parte – ancorandomi ad essa individuo un pensiero che mi stressa e lo scrivo su un formulario (online gratuitamente sul sito ufficiale (www.thework.com) mettendo da parte l’educazione, la gentilezza o la diplomazia. Il semplice fatto di mettere nero su bianco un pensiero che interferisce con la mia serenità mi aiuta ad ampliare la consapevolezza intorno alla situazione, alle persone coinvolte, al pensiero stesso e già la visione dell’accaduto assume una forma diversa. A questo punto è sufficiente riconnettersi alla situazione scelta ed al relativo pensiero stressante trascritto e rispondo alle 4 domande del “Lavoro”, chiudo gli occhi e descrivo quello che in quel momento rivivo della situazione ascoltando cosa si muove dentro di me e lasciando emergere, con un atteggiamento di testimonianza, immagini, pensieri, emozioni.

Prima hai parlato di “pensieri stressanti”, sono i pensieri che ci creano squilibri o le emozioni?
Byron Katie dice che è il pensiero che suscita un’emozione. So che non tutti sostengono questa teoria e che spesso si ricorre al detto: “è nato prima l’uovo o la gallina?” Non mi addentrerei in queste considerazioni, ma personalmente penso che entrambi siano estremamente collegati e temporalmente molto vicini. Forse per noi essere umani quello che è più semplice percepire è l’emozione. È infatti l’emozione che provo che mi dà il segnale che esiste un pensiero stressante che mi sta attraversando. (Agendo così le dò credito e la solidifico.) Praticamente l’emozione è un ponte che permette di collegarsi al pensiero.

“The Work” è uno strumento di indagine che può arrivare a toccare spazi interiori inesplorati ?
Byron Katie ama descrivere “Il Lavoro” come una (sorta) di meditazione. Io personalmente non ho mai esplorato la meditazione nei suoi infiniti aspetti e quindi ho imparato con il tempo cosa lei intendesse comprendendola sempre più. Uno degli strumenti più potenti che l’essere umano ha a disposizione – ma che utilizza poco, perché abituato ad agire nella reazione è: osservare (inteso come guardare, ascoltare e di riflesso ascoltarsi). Personalmente sto imparando che, più mi alleno in queste direzioni, e più ho una visione e un sentire nitidi. È come se la patina che ogni tanto ostruisce la mia visione tridimensionale si smaterializzasse esponenzialmente. Aldilà di qualcosa che avviene in superficie mi permetto di scoprire un mondo infinito – che è poi quello che mi scuote dentro – riverberandosi ovunque. Semplicemente sono in grado di vedere (con tutti i sensi) quello che la coscienza  mi rende visibile. Basta una mente aperta e “The Work” funziona, è un metodo che si accorda a chiunque (fino a dove può arrivare e risuonare). È un lavoro molto rispettoso nella sua esecuzione in quanto viene esplicitamente richiesto al facilitatore che lo esegue di non intromettersi. Il facilitatore offre le domande e si “limita” ad essere presente, assicurare lo svolgimento del processo e a tenere lo spazio – come si dice in gergo – facendo sì che la persona che intraprende questo viaggio, possa essere totalmente presente all’esperienza che sta vivendo.

“The Work” è adatto a tutti indistintamente? Scettici compresi ?
Di solito la disperazione aiuta molto (ride). Non ci sono limiti dal punto di vista del tipo di persona, “Il Lavoro” è adatto a tutti indistintamente (si può proporlo anche ai bambini). Una scintilla che di solito si accende in chi si avvicina a “The Work” è indiscutibilmente la curiosità di mettersi in discussione come un desiderio proprio. C’è molta differenza tra il sedersi su una sedia e ricevere una terapia qualsiasi e mettersi in gioco in prima linea – infatti posso farlo sia da solo che ricevendo le domande da un facilitatore – di fatto sono solo io che posso esplorare le mie emozioni ed i miei pensieri – nessuno può farlo al posto mio.

Perché fare un percorso di questo tipo ?
Io personalmente ho abbracciato questo metodo perché c’è totale indipendenza. Posso farlo in qualsiasi momento quando ne sento il bisogno e nessuno si intromette, interpreta o suggerisce ciò che è adeguato da quello che non lo è.  Altro elemento per me fondamentale è stato il fatto di poter usare i giudizi. Non ero in pace con il fatto di avere dei giudizi: passavo da sensi di colpa a momenti di grande rabbia. Attraverso “The Work” ho potuto onorare i miei giudizi e trasformarli in qualcosa che anche il mio cuore poteva riconoscere e accettare. Il giudizio diventa una via per conoscersi e per trovare una prospettiva diversa, molte volte nuova e più vera. Come conseguenza sono diventata con il tempo meno giudicante nei confronti dei miei giudizi (mi si scusi per il bisticcio di parole) e questo di riflesso ha indebolito sempre più l’abitudine di giudicare. Il giudizio in realtà è “un urlo” che si manifesta per dirci: “vieni a vedere cosa si nasconde dietro questa manifestazione distorta della realtà”. Si attua un importante processo di smascheramento. Altra peculiarità di “The Work” è la velocità attraverso cui lavora e smantella delle credenze che possono causare sofferenza profonda. Nel giro di 4 domande si può scoprire uno spazio di pace interiore che mai si sarebbe sperato di vivere.

 

Per maggiori informazioni:
– sito ufficiale: www.thework.com
– pagina Facebook: https:/
/www.facebook.com/byronkatieitalia/
– email Sandra Killer: sandra@spazioperte.ch

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