Giulietta Bandiera: “Il nuovo è vicino”

Giulietta Bandiera: “Il nuovo è vicino”

Pare incredibile ritrovare Giulietta Bandiera alla terrazza di un bar di Ponte Tresa! La riconosco immediatamente, eppure sono passati… venti, forse persino trent’anni dal nostro ultimo incontro all’ISPA di Milano.
Giulietta è giornalista, scrittrice e formatrice psicospirituale. È stata a lungo autrice televisiva Rai ed è autrice di una quindicina di pubblicazioni, tre delle quali dedicate al tema etico ed estetico dell’angelo di cui si è a lungo occupata.
Chi la segue sa della sua vittoria contro il cancro e dell’aiuto generosamente offerto alle persone che, come lei, si sono trovate ad affrontare la malattia.
Le chiedo su quali progetti stia lavorando.
“Sto scrivendo un libro con Fabrizio Tamburini, un mio grande amico. Tamburini è astrofisico e fisico quantistico, veneziano ma vive all’estero. Già candidato al premio Nobel per la Fisica per una scoperta sui vortici elettromagnetici, fatta qualche anno fa, ora ha appena risolto l’enigma dei numeri primi, un rompicapo sul quale si sono interrogati invano da secoli innumerevoli scienziati.  Questo progetto mi appassiona, perché oggi i fisici sono certamente tra coloro che hanno una visione più interessante della realtà e del futuro possibile
Per il resto sto progettando programmi televisivi, tenendo corsi formativi on line e vagliando il progetto di una serie di documentari sulla spiritualità destinati alle piattaforme internazionali. Non amo la spiritualità fine a se stessa, preferisco quella applicata che si trasforma in esperienza, perciò non so se accetterò, tuttavia fare la documentarista è una delle attività che più mi piacciono. Ho anche fondato da poco una rivista che si chiama Tenet Magazine.
Tenet è una delle parole che formano il quadrato magico di Sator. Si legge da destra a sinistra, dal basso verso l’alto e viceversa e contiene l’informazione alchemica di “come in alto così in basso”. Ho creato questo magazine on line al momento della pandemia per avere un organo dove poter scrivere liberamente, ma si tratta di una rivista fondamentalmente culturale, perché sono convinta che in questo momento la gente abbia bisogno di cultura più che di politica. Credo che saremo tutti orfani di cultura dopo questa disavventura globale.

In un’ottica non politica, ma culturale e spirituale, come vedi i tempi che stiamo vivendo?
Credo che abbiamo superato la fase peggiore della crisi. Il lockdown è stato un esperimento sociale importantissimo per ciascuno di noi. Tutti hanno avuto l’opportunità di incontrare se stessi, anche chi non è abituato a farlo. Alcuni di noi hanno avuto l’opportunità di riscoprire rapporti familiari cui prima, forse, non dedicavano sufficiente attenzione. Inoltre il primo lockdown ci ha fatto riascoltare il silenzio, vedere la natura che si riprendeva i suoi spazi, permettendoci anche di ritrovare forme di coesione sociale, di solidarietà: era il momento in cui si cantava tutti insieme alle finestre, ci si diceva che tutto andrà bene e si applaudivano i medici dai balconi.
A questa fase, però ne è seguita una seconda terribile, in cui i media (e anche i social network) hanno dato il peggio di sé stessi per alimentare la paura e la separazione, al soldo di logiche commerciali e finanziarie che hanno approfittato della pandemia, strumentalizzandola a proprio beneficio e a discapito della gente.
C’è chi si è arricchito a dismisura (pensiamo solo a chi ha speculato sulle mascherine, o a chi ha decuplicato i fatturati, come i colossi delle vendite on line) e chi si è impoverito perché impossibilitato a lavorare.
Questa seconda fase, a mio avviso, è stata la peggiore. Peggio ancora della guerra del virus, della guerra batteriologica, perché era una guerra di cuori, una guerra di anime.
Ora confido che stiamo uscendo da questa fase di conflittualità.
Penso che la gente stia cercando una conciliazione, la quale partirà dal basso e non sarà certamente favorita dai media. Credo che un numero crescente di persone – comunque la pensi – stia cominciando a porsi delle domande e pensare con la propria testa. Certo, non siano ancora del tutto fuori dalla crisi, ma il tempo che stiamo vivendo mi sembra estremamente interessante. Credo che stia avvenendo quel salto evolutivo che molti di noi attendevano da tempo. Certo, mentre salti, come nel film Matrix, ti trovi sospeso nel vuoto, tra un grattacielo e l’altro e il rischio di cadere è enorme. Ma occorre continuare a credere che arriverai da qualche parte, che questo momento di passaggio avrà una fine e che dall’altra parte ci attende un nuovo inizio.

Come sarà questo nuovo inizio? Vedi una società diversa?
Non vedo una società. Vedo un mondo fatto di individui nuovi, che abitano il mondo nuovo.
Non è tanto la società che è chiamata a cambiare, è l’individuo, a tutti i livelli che è chiamato a farlo.
Io presagisco il Nuovo, ne sento per così dire il “profumo” e devo dire che ho una buona intuizione, anche se di solito anticipo di molto i tempi dell’effettiva realizzazione di quanto prevedo.

E pensi che queste persone nuove potranno convivere con quelle vecchie?
Convivono già. Ma non è detto che comunichino fra loro. Prima, chi aveva opinioni diverse si scontrava. Ora si comincia a capire che tollerarsi è possibile. Certo, ciascuno comunica con chi sente più in risonanza, anche perché ormai la lingua che si parla è diversa. È il fenomeno della “Speciazione”. Due mondi che convivono su livelli diversi.

Tu hai sempre professato una grande ammirazione per il libro curato da Gitta Mallasz “I Dialoghi con l’Angelo”; vedi un certo parallelismo tra i tempi che vivevano i quattro protagonisti di quel libro e quel che viviamo in questo nostro presente?
Certamente. Esiste un’analogia eccezionale.
“I dialoghi con l’Angelo” nasce in un momento di grave persecuzione. Devo dire che, fino a poco tempo fa, temevo il peggio anche per noi. Non dico che immaginassi i campi di sterminio, ma sicuramente dei ghetti per i non-allineati alle disposizioni governative.
Poi ho capito che questo non necessariamente accadrà.

Che cosa impedirà uno sviluppo del genere?
Che forse questa realtà duale può davvero essere trascesa, poiché l’umanità è cresciuta in coscienza rispetto agli anni Trenta del secolo scorso.
Quando i “Dialoghi con l’Angelo” sono stati trascritti, durante la Seconda Guerra Mondiale, non c’era la massa critica che oggi c’è. E quando la massa critica c’è, il sistema è destinato a cambiare.
Come mi ha detto anni fa l’epistemologo Erwin Lazlo, assisteremo a una fase di radicale trasformazione, ad un balzo quantico reale. Certo, secondo Lazlo, questo potrebbe travolgere molte persone perché un tale cambiamento ti spiazza, ti travolge. È come se l’orizzonte diventasse improvvisamente verticale. Quanti di noi continueranno a camminare e quanti cadranno nel vuoto?
Il punto è che le due “fazioni” opposte, quella degli obbedienti e dei disobbedienti, sono state confuse con i buoni, da un lato e i cattivi dall’altro. In realtà non è mai così. Ciò che ho compreso ultimamente, rileggendo i “Dialoghi con l’Angelo” per l’ennesima volta, è che i protagonisti avevano imparato a stare nel mondo pur non essendo più del mondo, come diceva Gesù.
Credo che da un certo punto in avanti abbiano davvero smesso di soffrire, a dispetto della persecuzione dei nazisti. Gitta, l’unica sopravvissuta dei quattro amici, a un certo punto ha perfino subito un brutale pestaggio fisico, eppure a posteriori ha dichiarato di non aver sentito alcun dolore, perché evidentemente si trovava su un’altra frequenza.
Credo che queste persone, che hanno salvato la vita a cento donne ebree e ai loro bambini, prima di morire a loro volta, abbiano affrontato la loro sorte senza patire le pene dei loro compagni dopo la sublime esperienza spirituale che avevano avuto, grazie ai messaggi angelici che li guidavano.
Ci sono testimonianze riguardanti gli ultimi momenti della loro vita, che mi fanno sospettare che, malgrado la loro fine tragica, avessero trovato un modo per trascendere il reale.
Quando ho scritto il documentario sulla loro vicenda, non avevo compreso questo aspetto. Ora però, in un momento in cui sto cercando io stessa delle vie che possano farci convivere con una realtà inaccettabile, ho capito che questo è effettivamente possibile.
Gli angeli lo dicono esplicitamente, soprattutto alla fine del libro: “Voi non vedete ancora il nuovo, ma noi già lo vediamo” E ancora: “Non vi aggrappate al passato. Non c’è più strada su cui poggiare il vostro piede. La strada la tracciate voi, passo dopo passo e altri potranno percorrerla”.
Credo che questa sia la sfida con cui oggi dobbiamo confrontarci: dobbiamo imparare a creare la strada su cui camminiamo, perché le strade vecchie non le possiamo più percorrere. Questo per me è il grande insegnamento dei “Dialoghi con l’Angelo” e mi ha aiutato a superare la rabbia e la disperazione dei primi momenti.
Oggi quindi sono ottimista: sento che il Nuovo è più che mai vicino, che sorgerà da dentro e che quando si rivelerà, sarà meravigliosamente sorprendente.

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