“È pericoloso insistere sull’offrire il vaccino a chiunque”

“È pericoloso insistere sull’offrire il vaccino a chiunque”

Intervista Marco Cosentino, dottore di ricerca in farmacologia e tossicologia

a cura di Natascia Bandecchi

La luna era crescente quel giorno: 31 dicembre 2019. Quel martedì si chiudeva un anno e, chi se lo immaginava che si sarebbe aperto uno scenario così sconvolgente per l’umanità?  L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) viene informata ufficialmente del primo caso di polmonite da cause ignote. Il 9 gennaio 2020 il Centro di controllo e la prevenzione delle malattie della Cina ha riferito che è stato identificato un nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) come agente causale della malattia respiratoria poi denominata Covid-19.
L’11 marzo 2020 il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha definito la diffusione del Covid-19 non più una epidemia confinata ad alcune zone geografiche, ma una pandemia diffusa in tutto il pianeta.
La propagazione di questo virus invisibile ha cambiato le carte in tavola per la maggior parte degli esseri umani. C’è chi dice sia un’opportunità di rinascita per alcuni eletti, chi invece sostiene sia una punizione divina, altri che dietro questa pandemia ci siano complotti e giochi di potere in atto. C’è chi sostiene ci siano gli alieni ad orchestrare tutto ciò per impossessarsi della terra.

Facciamo un passo indietro e fermiamoci a fare alcune semplici, ma considerevoli riflessioni, su alcuni tasselli del puzzle targato Covid-19. Il mio interlocutore è il Professor Marco Cosentino, dottore di ricerca in farmacologia e tossicologia ordinario di farmacologia nella scuola di medicina presso l’Università dell’Insubria di Varese. Il Dottor Cosentino ha conseguito la laurea in medicina e chirurgia nel 1990, dedicandosi da subito alla ricerca scientifica.  Verso la fine degli anni novanta ha costituito il Centro di ricerche in farmacologia medica a Varese dove si è dedicato a vari tipi di studi che complessivamente si collocano negli ambiti della farmacologia, della terapia delle malattie infiammatorie, cardiovascolari e neurovegetative.

“Da un punto di vista generale mi ha da subito molto interessato il tema. L’emergenza che stiamo vivendo è fondata sull’assioma: Covid-19 malattia letale ed incurabile che automaticamente giustifica una serie di conseguenze sull’emergenzialità e sull’eccezionalità della situazione. Situazione che, in qualche maniera, ci vincola a determinati successivi passaggi logici. Personalmente tendo a mettere in discussione che il Covid-19 sia una malattia assolutamente letale e soprattutto assolutamente incurabile. Questo non significa che io stia negando la serietà di una condizione patologica come questa. Stiamo parlando di una malattia estremamente subdola con un andamento molto eterogeneo, fortunatamente nella maggior parte dei casi si rivela essere benigna. Malattia che va seguita con grande attenzione e tempismo; senza dimenticare tutta una serie di opzioni farmaco-terapeutiche che vanno di volta in volta scelte accuratamente a seconda del paziente. Di Covid-19 si può morire e aggiungerei – forse è una banalità – che anche in era pre Covid-19 si moriva di influenza stagionale. I negazionisti sono quelli che paragonano il Covid-19 all’influenza. A me sembra che sia negazionismo affermare che l’influenza stagionale sia una malattia da nulla. Certo, per un giovane in salute l’influenza stagionale la si salta come si salta la staccionata di quella famosa pubblicità degli anni ottanta dell’olio di semi. Invece per una persona in condizioni di salute non ottimali, anche un’influenza stagionale è un’esperienza da non sottovalutare. In più recenti statistiche infatti, senza nessuna sorpresa, la massima parte dei decessi associati al Covid-19, avviene per persone con condizioni di salute più vulnerabili e più fragili (per età, per presenza di malattie croniche, etc.). Sarebbe importante un giorno dire che il Covid-19 è sicuramente una malattia pericolosa ma si può curare.

Qual’è il suo pensiero sul Green Pass?
Tutto il male possibile.

Secondo lei il Green Pass tutela la salute di chi lo possiede?
Non entro nel merito dell’aspetto giuridico perché non è il mio campo d’azione.
La legge italiana di istituzione del Green Pass afferma chiaramente: per tutelare la sicurezza e la salute pubblica. Io dico semplicemente che il Green Pass viene concesso ad oggi (in Italia) per una durata di 12 mesi a chi ha completato un ciclo vaccinale. Tutta la letteratura migliore che abbiamo a disposizione ci dice che questi vaccini non sono sterilizzanti. Il primo limite – che può apparire come bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto – per me il primo punto è un bicchiere mezzo pieno: questi sono prodotti (i vaccini distribuiti in Europa intendo) che ci danno un’ottima protezione quantificabile – nelle condizioni migliori – come una riduzione del 90% del rischio di contagiarsi. Nelle condizioni medie siamo tra il 70% e l’80% e nelle situazioni peggiori al di sotto del 70%. Se guardiamo il bicchiere mezzo vuoto ci rimane nel migliore dei casi un 10%, nel peggiore dei casi  un 30%-40% di contagiarsi, rispetto ad una persona non vaccinata. Una popolazione vaccinata nel momento migliore della protezione offerta da un vaccino non ha la certezza di non infettarsi. Anzi, ha una possibilità di contagiarsi che è una frazione rilevante di un non vaccinato. Ha anche la possibilità di contagiare altre persone. Aggiungo che, tra i benefici del vaccino, c’è una riduzione della possibilità di sviluppare la malattia sintomatica (bicchiere mezzo pieno) e va considerato anche che ci si può ammalare (bicchiere mezzo vuoto) senza sviluppare sintomi. Se ci chiediamo in che misura il vaccino ostacola la circolazione del virus la risposta è che: il rischio non è azzerato e che ci si può trovare di fronte a contagi che si progagano benché si sia vaccinati.
Abbiamo numerosi studi, tutti piuttosto univoci, che affermano che questi vaccini hanno una copertura da 5 a 7 mesi, per alcuni prodotti anche meno (come quello della Janssen). Complessivamente si può riassumere che la protezione dei vaccini sia scesa mediamente sotto il 50%. Soglia identificata dalle agenzie regolatorie per considerarla una protezione di qualsiasi utilità da un punto di vista di sanità pubblica. Quindi, essendo passati dai 6 ai 9 mesi per la maggior parte di inoculazioni, siamo punto e a capo. Non a caso, stiamo ampiamente discutendo di terze dosi.
La mia opinone sul Green Pass in estrema sintesi è che non ha il minimo fondamento medico-scientifico. Sicuramente non ha alcuna utlilità se lo definiamo strumento di sicurezza e salute pubblica. Anzi, in questo senso, è uno strumento che legittima la circolazione di un numero estremamente elevato di persone che si crede erroneamente immune al contagio, ed invece può facilmente contagiarsi, e contagiare altre persone. Direi che in definitiva il Green Pass favorisce la circolazione del virus.

Quali sono le alternative al Green Pass secondo lei ?
Fino a che ci si preoccupa della circolazione del virus – come stiamo facendo in questo periodo – basterebbe introdurre un accesso semplice e mirato a dei tamponi rapidi per l’accesso a luoghi particolarmente affollati. Concordo pienamente sul fatto che anche i tamponi rapidi abbiano dei limiti essendo dei test diagnostici ma un loro uso frequente e facilitato sicuramente contribuirebbe a ridurre significatamente che, persone contagianti circolino liberamente ed in maniera inconsapevole. Questi test dovrebbero essere offerti con la massima semplicità: a scuola, a all’università, sui trasporti, nei luoghi di svago, etc.
Non dimentichiamoci che l’efficacia vaccinale è misurata in condizioni in cui le persone utilizzano mascherina, distanziamento ed igenizzazione.

Nonostante l’OMS non abbia raccomandato la terza dose, si è partiti o si sta per partire con l’inoculazione. Cosa ne pensa?
Penso tantissime cose. Onestamente credo vada detto che non abbiamo nessun punto di riferimento. Abbiamo una serie di speranze e di possibilità e tutta una serie di opinioni che sono molto soggettive. Credo per esempio che opinioni, del tutto legittime ma che hanno scarse probabilità di rivelarsi corrette, sono quelle manifestate da qualche collega italiano che si è sbilanciato dichiarando che, con la terza dose, si avrà un’immunità pluriennale definitiva. Questa visione credo faccia parte di un paragrafo di una letterina che si può scrivere ed inviare a Babbo Natale.
Gli unici dati concreti sono dei dati osservazionali che provengono da Israele che si è affrettato a pubblicare la primissima esperienza, talmente rapida, che riguarda le prime due settimane dopo l’inoculazione della terza dose: che significa tutto e niente. È naturale che, dopo due settimane, ci sia stato un rialzo della protezione immonulogica e una riduzione dei contagi.
Per le prime due dosi avevamo come riferimento quel paio di mesi degli studi autorizzativi. La terza dose è un’ipotesi. Si basa infatti sull’ipotesi che si possa riattivare una risposta immunitaria calante e di conseguenza prolungarla per qualche tempo. Per quanto tempo è impossibile dirlo! L’ipotesi più neutra che si potrebbe fare è che un’ulteriore dose potrebbe durare come un altro ciclo vaccinale. Se consultiamo studi letterari, per quanto riguarda i richiami di vaccini anti-influenzali fatti regolarmente, la risposta immunitaria misurata in termini di attività anticorpali tende ad essere meno efficiente. Con questo non sto dicendo che la terza dose non funzioni, ma semplicemente che non abbiamo punti di riferimento. Se su questo punto sovrapponiamo anche il fatto che, ad oggi, stiamo facendo delle terze dosi, che sono ancora calibrate su una versione del virus che non è più in circolazione, si apre un altro capitolo. Se avessimo ancora a che fare con le prime versioni del virus che circolavano l’anno scorso probabilmente la protezione conferita da questi vaccini, sarebbe ancora piuttosto significativa. Siccome abbiamo a che fare con delle versioni del virus che invece sono state selezionate a cavallo di fine 2020 ed inizio 2021 – guarda caso in coincidenza con l’inizio delle campagne vaccinali – mi pare abbastanza ovvio che le varianti vengano selezionate da chi ha un’immunità contro il virus e che quindi ostacola in qualche maniera la circolazione di una versione del virus. Virus che a sua volta si attrezza per continuare a circolare indisturbato. Aldilà di questa riflessione polemica, oggi ci ritroviamo di fronte a delle varianti virali che sono differenti rispetto al virus originario. È una scommessa anche vaccinare con la terza dose calibrata sul virus originario senza avere considerato la possibilità di sviluppare dei vaccini più specifici per le nuove varianti del virus. D’altra parte nel momento in cui dico questo, un’opzione di questo genere va anche valutata rispetto alla prospettiva che ci vogliamo costruire: vogliamo veramente ingaggiare una sorta di gara con la velocità di mutazione del virus da una parte e con lo sviluppo di nuovi vaccini dall’altra? Tenendo presente che, non stiamo parlando dell’aggiornamento del software di antivirus del computer, stiamo parlando di vaccini che comunque sono diversi. Non possiamo permetterci il lusso di credere che, avendo avuto una prima esperienza con il primo vaccino, automaticamente possiamo aggiornarlo e andrà sempre bene. Senza dimenticare la sicurezza, e anche qui, mi fermerei a riflettere su alcune criticità che andrebbero prese in considerazione.
In conclusione parlare della terza dose significa parlare di tutto e di niente. Si tratta sicuramente di una sperimentazione. Io ho sempre cercato di persuadere chi parlava di sperimentazione di massa, dicendo che si tratta di una somministrazione di emergenza basata su una ben precisa sperimentazione preliminare che si basa su studi autorizzativi. La terza dose ha un carattere senza dubbio molto più sperimentale. Scopriremo le conseguenze tra un po’ di tempo e lì potremmo capire quale è stato il risultato di un prolungamento della campagna vaccinale.

Dottor Cosentino qual’è la sua immagine di questa pandemia da qui, al futuro prossimo?
Domanda complicata, un po’ come chiedermi che cosa vedo in una macchia di Rorschach.
Ho il timore che la maggior parte di noi si sia avvitata in una narrazione profondamente drammatica. Si pensa che il Covid-19 sia incurabile e letale come la peste nera e che va assolutamente rifuggita come se tutti dovessimo scappare in cima ai monti, in campagna o in luoghi desolati e isolati. La mia sensazione è che non se ne esca puntando esclusivamente sull’immunizzazione. Non se ne esce nemmeno in un’ottica di vaccinazioni continue ma non perché i vaccini non funzionino. I vaccini funzionano con dei ben precisi limiti.
Io credo che insistendo sulla vaccinazione universale non se ne uscirà, anzi, si rischia di scoprire il lato oscuro di questi vaccini. È pericoloso insistere sull’offrire il vaccino a chiunque, in particolare a quelle fasce di popolazione che non hanno in maniera documentata un beneficio dall’essere immunizzate (penso ai giovani ovviamente). Persone in salute al di sotto dei 25-30 anni per esempio. Non prendo nemmeno in considerazione i bambini che non hanno nessun motivo per essere vaccinate. Un soggetto particolarmente fragile, una persona anziana con un’aspettativa di vita breve, davvero vogliamo esporla al rischio di un qualunque tipo di intervento che possa causarle uno stato infiammatorio che, seppure per uno o due giorni, le farà fare febbre alta? Citerei l’esperienza norvegese che ha documentato una situazione di questo genere, andando incontro al rischio di un decesso su 900 vaccinati. Se pensiamo alle campagne vaccinali che sottolineano i benefici stimando un decesso da Covid-19 in meno per ogni centomila immunizzati. Penso sia importante fare questo tipo di proporzione con conseguenti valutazioni del caso. C’è poi tutta la fascia di popolazione intermedia, dai 25/30 ai 60 anni, dove la vaccinazione può essere un’opportunità da valutare però da caso in caso. Ci vuole buon senso, come in tutte le situazioni.

Pagina FB Dottor Marco Cosentino: https://www.facebook.com/marco.cosentino.official

 

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