Tra sogno e realtà

Tra sogno e realtà

Sonja Marjasch, svizzera di nazionalità ma con un padre di origine russa, si è formata all’Istituto C.G Jung e ha lavorato fino al 2000 come psicanalista e analista didatta. Si definisce “una persona che ragiona con l’emisfero destro del cervello” e attribuisce a questa particolarità la fatica che da sempre le creano i concetti astratti. “Ho sempre preferito usare le immagini”, afferma.

I sogni sono importanti?

Sono molto importanti. Purtroppo la nostra cultura non sa più come rapportarsi ai sogni, non sa come coglierne il consiglio, la saggezza. Diciamo che oggi l’uomo occidentale ha due atteggiamenti estremi ed entrambi sbagliati nei confronti dei sogni: sia non ne tiene assolutamente conto, sia al contrario li considera in modo superstizioso e ne segue alla lettera il presunto il consiglio.

Quale dovrebbe essere il giusto atteggiamento?

Credo sia molto utile conoscere certe fiabe, o certi racconti popolari che riguardano i sogni. Ricordo ad esempio un racconto che, con piccole varianti, esiste in varie culture diverse. Nella versione svizzera c’è un contadino che si trova in una situazione critica: non ha più soldi e non sa più che pesci pigliare. Una notte, in sogno, ode una voce che gli ordina di recarsi in una città lontana e di cercare un certo ponte. Là, dice la voce, troverà la soluzione dei suoi affanni. Il contadino fa come gli è stato detto: trova il ponte e si mette in attesa.

Aspetta e aspetta, dopo due giorni, arriva un uomo che si incuriosisce vedendo quello sconosciuto fermo accanto al ponte. Gli chiede che cosa stia facendo e il contadino gli racconta del sogno.

“Che sciocchezza!” esclama l’altro. “Come se dovessimo dare retta i sogni! Pensi che l’altra notte ho sognato che andavo in un certo villaggio e che, scavando nel cortile di una fattoria , trovavo una pentola piena d’oro!” Il contadino ascolta con attenzione, perché il villaggio descritto è il suo e il luogo dove è stato scoperto il tesoro si trova nel suo podere. Torna a casa, si mette a scavare nel luogo indicato, trova una pentola piena di monete d’oro e vive ricco e felice.

Questo racconto ci avverte che, nel rapportarci ai sogni, dobbiamo dar prova sia di fiducia sia di un certo scetticismo. Gli atteggiamenti estremi, il prendere alla lettera da un lato e l’assoluta incredulità dall’altro, sono entrambi sbagliati. Il sogno è come un amico fidato, che attira la nostra attenzione su qualcosa che forse potrebbe essere in un certo modo e ci invita ad aprire un dialogo con lui. Se poi c’è una terza persona implicata, ossia un analista, si può esaminare il sogno sotto varie angolature finché non si arriva a scoprire un messaggio. Si tratta di un lavoro molto utile.

Se non erro Jung diceva che nessuno può interpretare i propri sogni. Lei concorda con questa affermazione?

Non credo che Jung si sia espresso in questi termini: lui stesso ha descritto più volte come interpretava i propri sogni per comprendere la situazione in cui si trovava o la relazione con un dato paziente. Penso piuttosto che si riferisse a certi manuali che tendono a dare di ogni simbolo una spiegazione molto rigida e stereotipata.

Per fare un esempio molto simile, una mia collega psicanalista che è anche cineasta e tiene dei seminari sui simboli contenuti in certi film, mi ha raccontato che qualcuno aveva interrogato Tarkovsky sul significato di un cane nero che appariva in uno dei suoi lavori. “È solo un cane nero” avava risposto il regista.”Sta a ciascuno di noi svelarne il significato”.

Anche Angelopulos, quando gli fu chiesto quale fosse il messaggio simbolico di una statua sommersa che si vedeva in uno dei suoi film diede una risposta sostanzialmente analoga. Dichiarò che la statua si trovava lì in un certo senso per puro caso e che lui aveva deciso di filmarla semplicemente perché l’immagine gli parlava, ma senza l’intenzione di mandare un messaggio preciso. Ciascuno spettatore era libero di interpretarla a suo piacimento a seconda dell’emozione che gli suscitava.

È l’emozione a darci la chiave del simbolo?

È l’emozione insieme al contesto in cui si presenta l’immagine e a tutta la situazione. Un altro fattore importante sono gli avvenimenti dei giorni immediatamente precedenti il sogno e anche di quelli immediatamente successivi.

Come dobbiamo comportarci di fronte al sogno per ricordarlo e riceverne il messaggio?

Bisognerebbe reimmaginarlo, in un certo senso, lasciarlo “srotolare” davanti agli occhi della nostra mente, permettendo così alle associazioni di presentarsi e al sogno di cominciare a raccontarsi e di portare il suo messaggio. Ma ripeto che è sempre più facile se c’è un interlocutore.

Del resto non dobbiamo sentirci in dovere di ricordare tutti i sogni per decifrarne il “messaggio”, sarebbe troppo chiedere, anche pensando al poco tempo che quasi tutti noi abbiamo a nostra disposizione il mattino. Ma può capitare che unparticolare di un determinato sogno ci ritorni alla memoria senza che lo vogliamo, o che addirittura ci perseguiti durante tutta la giornata. Non deve essere necessariamente un’ immagine: può anche trattarsi di una melodia, o di un profumo. Anche il nostro stato fisico influisce sui sogni che a loro volta hanno un impatto sul tutto il nostro corpo.

Espressioni come: “non riesco a riacchiappare quel sogno”, o “il sogno mi sfugge” sembrano indicare che ci stiamo dedicando ad una specie di “caccia al sogno”. In realtà credo che sia molto meglio rilassarsi e lasciare che i sogni tornino da soli, accettandoli con il meno pregiudizi possibile.

Ci sono sogni che non si devono ricordare?

In certi casi, ad esempio se viviamo in un paese governato da una dittatura, non è consigliabile scrivere i sogni e ancora meno raccontarli ad altri. Potrebbero essere considerati come sovversivi (e molto spesso lo sono davvero).

Comunque non bisogna avere fretta di accantonare un sogno come “brutto”. A volte ci sono sogni che ci appaiono brutti perché ci presentano un problema senza suggerirci una soluzione. In certi casi addirittura sembrano insistere sulla gravità del problema senza tuttavia indicarci nessuna via d’uscita.

Un tempo questi sogni venivano considerati come brutti, o scartati come “abortiti”. Il fatto è che spesso i sogni vengono accomunati alle fiabe e le fiabe europee classiche hanno sempre una soluzione, un lieto fine.

Perciò quando ho studiato per diventare psicanalista, negli anni Cinquanta, si pensava che il sogno dovesse portare per forza una soluzione. Ora però le cose sono cambiate e gli analisti interpretano anche i sogni che finiscono male, o quelli che lasciano tutto in sospeso.

Per fare un altro paragone letterario, il dramma classico comprende sempre un finale, lieto o tragico. Ma nei lavori moderni si ammette che una vicenda non abbia un vero e proprio epilogo; pensiamo ad esempio al famoso “Aspettando Godot” di Beckett. Ricordo che quando lo vidi per la prima volta, pensai quanto fosse assurdo pretendere che i sogni avessero sempre un epilogo.

Ci sono sogni che rimangono in mente in modo preciso, altri invece lasciano solo un ricordo nebuloso. Questo significa forse che i primi sono importanti e i secondi no?

È una domanda difficile e le risposte potrebbero essere più di una (del resto ciò vale anche per quasi tutte le altre domande). La memoria dei sogni funziona esattamente come per gli avvenimenti della vita di tutti i giorni. A volte il sogno non viene ricordato perché è in contraddizione con ciò che il sognatore pensa consciamente. Un po’ come se qualcuno ci dicesse una cosa che non ci piace e noi ci affrettassimo a dimenticarla, o a considerarla come poco importante. D’altro canto ci sono sogni che ricordiamo senza nessuna fatica per tutta la vita perché sono stati e sono tuttora importanti per noi.

In certi casi, abbastanza rari, il sogno non viene ricordato dal nostro “io” conscio, ma da un cosiddetto complesso che in quel momento domina l’ego. Le faccio un esempio: una mia paziente aveva una madre che la criticava in continuazione, ripetendole che era una stupida e che non faceva niente di giusto. Questa donna un giorno mi raccontò un sogno nel quale effettivamente sembrava commettere uno sbaglio dopo l’altro. Ascoltandola ebbi l’impressione che il tono della sua voce fosse leggermente cambiato: era come se la madre si fosse sostituita a lei e fosse lì in quel momento a dirmi che la figlia era una sciocca incapace. Tentai di farlo capire alla paziente, ma lei rifiutò ogni spiegazione; era come se fosse stata catturata dal complesso, un po’ come una mosca invischiata in una ragnatela.

Che cosa si intende esattamente per complesso?

Invece di dare una definizione, preferirei citare un romanzo di Barbara König intitolato “Die Personenperson”. La narrazione è preceduta dalla citazione del poeta tedesco Novalis: “Ciascuno di noi è una società in miniatura”. Il racconto inizia con il ritorno della protagonista, una giovane donna, nella sua casa d’origine. La casa è una sorta di comune, ossia viene condivisa da diverse persone. Al suo arrivo, la ragazza trova un giornalista intento a scrivere. Lui la guarda e dice: “Ecco! Si è innamorata di nuovo e io non potrò finire il mio articolo!” Poi gli altri abitanti della casa danno via via il loro parere sul nuovo amore della protagonista. Una vecchia brontola che la storia non finirà bene; un’adolescente dà sfogo al suo sfrenato romanticismo e infine una bambina piccola, seduta sotto il tavolo grida allegramente: “Sento che in me maturano catastrofi!”

Alla fine il lettore capisce che tutte queste persone sono vari aspetti della protagonista. Quindi a volte è importante capire “chi” sta parlando in un dato momento e in questo il tono della voce è spesso molto rivelatore. Per lo stesso motivo è importante sapere “chi” sta ricordando un certo sogno. In un testo di non so più quale autore che si riferisce a una seduta di terapia di gruppo, uno dei personaggi dice a un altro: “Non eri tu a parlare : quella era la voce di tuo padre!”

I sogni si potrebbero paragonare a quelle sculture chiamate “mobile”. Quando si tocca una delle parti, tutto si mette in movimento. Non ha tanta importanza dove si comincia, ciò che conta è che a un certo punto qualcosa faccia scattare un’idea. Il sogno non si rivolge mai a noi come un dittatore; il sogno non impone, suggerisce.

Lei parla spesso di un libro dello scrittore francese Roger Caillois “L’incertitude qui vient des rêves” per quale motivo l’ha tanto colpita?

Quel libro ha avuto effettivamente molta importanza per me. Ricordo di averlo scoperto grazie a una recensione fatta da una mia conoscente, che a quei tempi era una delle critiche più autorevoli per le opere in lingua francese. Il titolo dell’articolo era “L’inquiétude qui vient des rêves”, ossia l’inquietudine che viene dai sogni. Andai subito in libreria e chiesi il libro. Il libraio mi rispose che non lo conosceva, ma che in compenso aveva un libro intitolato “L’incertitude qui vient des rêves”. Non ho mai saputo se il cambiamento di titolo fosse voluto dall’autrice della recensione o se si trattasse di un lapsus. Lessi il libro e fui affascinata dalla mancanza di una chiara separazione tra sogno e realtà.

Questo stato di incertezza è significativo?

Una volta ho interrotto un paziente chiedendogli: “Ma quello che mi sta raccontando è ancora un sogno?” Una situazione reale può essere tanto strana da farci dubitare di stare sognando. Un fatto del genere è successo a Caillois un giorno camminando per la vie di Cuzco, in Perù. Ebbe un attacco di mal di montagna e si aggrappò a caso alla porta della casa più vicina. La porta si aprì e lui si trovò in una sala buia, con file di banchi di legno su cui sedevano degli indiani, intenti a guardare un film. Caillois, ancora frastornato, udì delle frasi in inglese, pronunciate con accento perfetto: era Laurence Olivier che recitava Amleto!

Caillois cita inoltre vari esempi che dimostrano, sotto angolature diverse, come il sogno può sovvertire la nostra certezza che ciò che percepiamo con la coscienza sia la sola realtà esistente. In questi casi però non si tratta mai dei sogni pittoreschi o avventurosi, che sono facilmente riconoscibili come visioni oniriche; sono i piccoli sogni banali e quotidiani che trasformano le nostre certezze in dubbio.

Caillois ad esempio racconta di qualcuno che si mette la mano in tasca alla ricerca di una matita. Non la trova e in quel momento ricorda di aver fatto la stessa cosa in sogno. In questo modo Caillois sottolinea indirettamente il potere dell’immaginazione. Direi che questo scalzare le certezze è la «missione» dei piccoli sogni, che ricorda il «lavoro» dei folletti e del «piccolo popolo» nelle fiabe e nelle leggende popolari.

Come si distinguono i «piccoli sogni» dai cosiddetti «grandi sogni»?

La distinzione si basa su una valutazione dei contenuti. I “grandi” sogni si riferiscono a questioni fondamentali per l’esistenza umana e vengono spesso citati come esempi nei saggi specialistici I piccoli sogni invece riguardano le faccende spicciole, quotidiane. Questa quantomeno è l’opinione corrente. Perciò il potere dei piccoli sogni viene spesso sottovalutato.

Anni fa ho letto un libro intitolato: 82 Rêves pendant la Guerre de 39-45 scritto da Emile Szitya, un pittore e poeta dadaista di origine ungherese che era vissuto a Parigi durante la seconda guerra mondiale.

Negli anni 60, scioccato dalla facilità con cui la gente stava dimenticando gli orrori vissuti durante la guerra, Szitya ha pubblicato 82 racconti di sogni raccolti a caso durante il periodo bellico. Uno di questi racconti mi è piaciuto particolarmente. È intitolato “Il sogno più bello”. Era un sogno piccolo piccolo, scriveva l’autore, ed era bello, proprio molto bello.

Il sognatore, un pittore francese, ebreo, era stato rinchiuso in un campo di raccolta, in attesa di essere deportato in Germania. La sua situazione era terribile: soffriva la fame ed era in uno stato di costante terrore, tanto che lo stress avrebbe potuto ucciderlo.

Una notte tuttavia sognò che si trovava davanti un grande piatto di maccheroni dolci, un piatto tipicamente ebraico. Incominciò a mangiare ma, più mangiava, più il piatto sembrava pieno. Il sognatore provava un grande senso di conforto e di consolazione. Questo sogno si ripeté tutte le notti della sua prigionia, diventando una specie di appuntamento che gli diede la forza di resistere fino al momento della liberazione. La cosa buffa è che il pittore ha dichiarato in seguito che i maccheroni dolci non gli piacciono!

Ecco un esempio di piccolo sogno, apparentemente banale, che porta tuttavia un messaggio importante: un legame con la propria tradizione, qualcosa che collega al materno, al nutrimento del corpo, ma anche dell’anima. Si tratta quindi di un sogno che ha un valore personale, ma anche collettivo ed è un sogno salvatore. È un errore disprezzare i piccoli sogni col pretesto che il loro contenuto si riferisce solo alla vita quotidiana. Dimentichiamo spesso che la cosiddetta «vita quotidiana» è compresa in una realtà più grande.

Intervista a cura di Florinda Balli

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