La via del freddo

La via del freddo

Massimiliano Sassoli de Bianchi è uno scienziato e una personalità poliedrica. Laureato in fisica, i suoi interessi spaziano dalla meccanica quantistica a varie discipline fisico-psico-spirituali  come lo yoga, il digiuno e la meditazione. È  editore della rivista bilingue AutoRicerca. In questa intervista ci parla dei benefici dell’abituare il corpo a resistere alle basse temperature.

Come hai scoperto i benefici del freddo?
Molti anni fa, sentii parlare di uno strano personaggio, detto “l’uomo ghiaccio”, un olandese di nome Wim Hof, che faceva cose che noi umani non siamo in grado di fare, come ad esempio rimanere immerso nel ghiaccio per quasi due ore, correre a piedi nudi una mezza maratona su ghiaccio e neve, e altre cose di questo genere. Ricordo in particolare un documentario dove lo si vedeva mentre veniva studiato da alcuni ricercatori, come fosse un alieno dalla fisiologia misteriosa. Anni dopo, girovagando per YouTube, ho scoperto un video dove lo si vedeva guidare delle persone normalissime in imprese sorprendenti, come salire in cima a una montagna in costume da bagno, con temperature sottozero, o immergersi in acque ghiacciate per tempi di tutto rispetto.
A quel punto, pur essendo chiaro che la fisiologia di Wim Hof era fuori del comune, mi arresi all’idea che anche quella dell’uomo comune era di fatto straordinaria, contrariamente ai nostri pregiudizi sulla questione. La nostra tendenza a sottovalutare le capacità del nostro corpo era qualcosa che avevo già osservato in passato, ad esempio nella pratica del digiuno, di cui ho una certa esperienza, ma sul tema dell’esposizione alle temperature molto rigide coltivavo anch’io, indubbiamente, dei pregiudizi, figli della mia troppo limitata sperimentazione personale.
Ho poi avuto modo di leggere alcuni articoli, dove ad esempio dei volontari venivano testati in laboratorio, con un gruppo che aveva precedentemente praticato la tecnica oggi nota con il nome di “metodo Wim Hof”, in un percorso di una durata di circa una settimana, se ricordo bene, mentre un altro gruppo serviva da testimone di riferimento, evidenziando che chi praticava questo metodo accedeva a risorse notevoli, come ad esempio una riduzione della risposta infiammatoria dell’organismo a seguito di un’esposizione a delle endotossine.
Dopo queste letture, sapevo che dovevo toccare con mano, e così ho cominciato a praticare in solitario, procedendo in modo molto graduale, e potendo verificare che, in effetti, il mio corpo era in grado di fare cose (in relazione al freddo) che non sospettavo fosse in grado di fare. Per chi fosse interessato, racconto questo mio percorso iniziale nel Numero 23 della rivista ad accesso aperto AutoRicerca (https://autoricerca.ch). In seguito, ho avuto anche occasione di conoscere Wim Hof, partecipando a una piccola spedizione in Polonia, il che mi ha permesso di meglio comprendere il suo approccio, osservando il modo in cui veniva presentato e spiegato dal suo ideatore.

Che tecnica usi (bagni nel lago o nei fiumi in inverno, Tummo, altro ancora)?
Abitando vicino al lago, d’inverno prediligo immergermi nelle sue acque. Quando mi immergo, non nuoto, resto semplicemente immobile nell’acqua e respiro, immergendo di tanto in tanto la testa, per meglio attivare il cosiddetto “riflesso di immersione”, che migliora la risposta dell’organismo. È un riflesso antico, che porta a un abbassamento del battito cardiaco e a una più potente vasocostrizione. Più l’acqua è fredda, più la risposta è intensa. Sempre d’inverno, amo fare passeggiate nel bosco in costume da bagno. Poi, quando esco di casa, raramente uso giacche e maglioni. Ormai il mio vicinato mi conosce e non ci fa più caso.
Ci sono le docce fredde, che personalmente però non prediligo, perché il getto della doccia, non essendo uniforme su tutto il corpo, è un po’ fastidioso ed è meno facile rilassarsi. Ma per molte persone la doccia fredda è uno dei pochi modi semplici per esporsi alle basse temperature. Nei mesi caldi, il problema è ovviamente quello di procurarsi una sorgente d’acqua sufficientemente fredda. Ci sono numerose soluzioni, che variano ovviamente a seconda delle risorse finanziare di una persona. Non entro qui nei dettagli, diciamo però che se si è seriamente interessati a questa pratica, diventa un investimento inevitabile. Bisogna considerare che c’è sempre una forte resistenza nell’esporsi al freddo intenso, quindi, essersi organizzati alfine di disporre di acqua alla temperatura adeguata, senza che ciò richieda ogni volta uno sforzo eccessivo di preparazione, aiuta a superare le nostre reticenze ed aumentare la frequenza delle immersioni.
La pratica del Tummo è un insieme di antichi procedimenti tramite i quali si cerca di portare il corpo a generare maggiore calore interno, ad esempio tramite una mobilizzazione energetica particolare, o l’utilizzo di specifiche tecniche respiratorie. Può certamente essere un’aggiunta alla pratica, per chi conosce questi procedimenti, ma la linea guida che personalmente seguo, quando mi immergo, è di lasciare fare alla mia fisiologia quello che già sa fare, semplicemente osservando il processo in atto e collaborando con esso.

Come si può resistere al freddo?
In realtà è molto facile, perché, come dicevo, praticamente non dobbiamo fare nulla. Il nostro corpo sa già come fare, dobbiamo solo assecondarlo, lasciargli il tempo di fare il suo “kung fu”. Diciamo che per resistere al freddo dobbiamo soprattutto evitare di bloccare quei processi che il corpo è portato ad attuare in modo del tutto automatico, dandogli il tempo di adattarsi. Ad esempio, è facile osservare che quando si è immersi in un ambiente freddo, sia esso liquido o gassoso, il contatto con il nostro respiro diventa fondamentale. È il respiro che permette di attivare correttamente la nostra risposta fisiologica. È come quando andiamo a correre, non possiamo respirare allo stesso modo rispetto a quando stiamo semplicemente camminando. Ecco, quando usciamo in pieno inverno in t-shirt, o ci si immergiamo in acqua ghiacciata, è un po’ la stessa cosa, dobbiamo mantenere una respirazione consapevole leggermente più attiva del solito.
Così facendo, il corpo mette in atto con maggiore efficacia e rapidità le sue strategie interne. Quella principale, contrariamente a quanto si possa credere, non consiste nel generare maggiore calore interno, ma evitare di disperderlo verso l’esterno. Grazie a un’intensa produzione di noradrenalina, il corpo attua una potente vasocostrizione lungo tutta la sua superficie di contatto con il freddo, coibentando in questo modo l’interno dell’organismo. A quel punto, siamo relativamente protetti, che si generi calore interno o meno.
Ovviamente, se siamo in grado di generare molto calore interno, possiamo resistere a lungo al freddo intenso. Un modo per farlo è tramite un utilizzo specifico e molto intenso del respiro (non quando si è in acqua, sarebbe pericoloso, ma come preparazione). Ad esempio, è stato dimostrato in certi esperimenti che l’iperventilazione e sospensione del respiro permettono di promuovere un notevole apporto di calore, grazie all’attivazione dei muscoli intercostali. Ci sono poi anche i famosi grassi bruni, che aiutano a loro volta nei processi di termoregolazione del nostro corpo.

Quali sono i benefici che hai constatato sia a livello fisico che psichico?
I benefici sono numerosi. Ora, la ragione per cui una pratica che “minaccia” il nostro corpo possa risultare benefica, è racchiusa nella parola “ormesi”, vale a dire, nella risposta adattativa del nostro organismo allo stress intenso, purché di breve durata, che va a liberare, per effetto di sovracompensazione, abbondanti risorse, ad esempio di tipo ormonale, che altrimenti rimarrebbero inaccessibili. Noi abitanti delle società moderne, non offriamo più ai nostri corpi stimoli di sufficiente intensità in grado di attivare quelle risorse che il nostro corpo tiene gelosamente in riserva, utili a riparare danni e rigenerare i nostri organi e tessuti. Ovviamente, la pratica del freddo intenso (o anche del caldo intenso se è per questo, dei digiuni, ecc.), se da un lato ci permette di liberare queste risorse tenute in riserva, dall’altro ci richiede uno stile di vita dove ci preoccupiamo poi di rifornire le riserve del nostro organismo, ad esempio riposando a sufficienza e adottando un’alimentazione sufficientemente ricca e vitale.
Personalmente, non so dire se è un caso, ma non credo, dopo aver iniziato a praticare con una certa regolarità, sono sparite del tutto, e non sono mai più tornate, le mie allergie stagionali: mai più usato un broncodilatatore o degli antistaminici, con grande sorpresa del mio medico curante. È solo un esempio. Oltre al rafforzamento del sistema immunitario (andare al freddo permette di non prendere più freddo, come ama ricordare Wim Hof), i benefici del metodo includono: maggiore energia psicofisica, riduzione dello stress e degli stati depressivi, miglioramento della qualità del sonno, riduzione degli stati infiammatori e delle risposte autoimmuni, abbassamento della pressione sanguigna e del battito cardiaco, e molto altro ancora. Per dirla in breve, la pratica permette di migliorare il funzionamento complessivo del nostro sistema autonomo ed accrescere la nostra antifragilità.

A chi consiglieresti questa via?
Semplicemente, a tutti coloro che sono interessati ai suoi benefici. Non ci sono particolari controindicazioni, se si pratica all’inizio in modo molto graduale, imparando a conoscere, piano piano, le reazioni del nostro corpo. Naturalmente, è importante possedere tutte le informazioni importanti. Ad esempio, è importante sia il prima che il dopo di un’immersione, cioè il modo in cui ci prepariamo alla pratica, sia fisicamente che mentalmente, e il modo in cui usciamo dalla pratica, vegliando ad esempio a recuperare rapidamente tutto il calore perduto.
Alcune persone devono sicuramente stare più attente di altre, ad esempio se hanno problemi cardiaci. La potente vasocostrizione promuove infatti un picco temporaneo di pressione sanguigna, che dobbiamo essere sicuri di poter gestire senza problemi. È un po’ come quando facciamo un’attività fisica molto intensa. Con questo non voglio dire che chi ha problemi cardiocircolatori non possa avvicinarsi alla pratica, tutt’altro. Sarebbe come dire a una persona con muscoli atrofizzati che non può fare esercizio fisico. Ha ovviamente interesse a farlo, dovrà solamente procedere con maggiore cautela. Con la pratica del freddo intenso è la stessa cosa: permette di rimettere in forma tutto il sistema cardiovascolare, potenziandolo, quindi sulla lunga distanza porterà a un abbassamento generale della pressione sanguigna e del battito cardiaco (sempreché, ovviamente, il nostro stile di vita sia sufficientemente salutare). Comunque, se si hanno de dubbi, meglio informare il proprio medico e ricevere il suo benestare.
Consiglio l’esplorazione di questa pratica anche a tutti coloro che desiderano osservarsi in situazioni che non corrispondono alla loro zona di comfort abituale. Cosa accade alla nostra mente quando entriamo nell’acqua ghiacciata? Riusciamo a rimanere calmi e rilassati, focalizzati nel qui-e-ora, oppure entriamo in un intenso chiacchiericcio mentale, o addirittura nel panico? Siamo in grado di gestire una sensazione molto intensa, senza lasciare che questa perturbi il nostro stato mentale? Siamo capaci di fidarci della nostra fisiologia e rimanere semplicemente in uno stato di osservazione, senza promuovere interferenze di alcun genere?
Diciamo che oltre ai benefici fisici, la pratica offre un materiale di osservazione molto prezioso per l’autoricercatore che ha un po’ di esperienza nelle pratiche interiori. Ma c’è un altro aspetto. Quando passeggiamo senza vestiti in un bosco d’inverno, o quando ci immergiamo nel silenzio delle acque ghiacciate di un laghetto, possiamo toccare con mano i milioni di anni di evoluzione che hanno prodotto la nostra potente macchina umana, con le sue capacità straordinarie. In questi momenti, se entriamo realmente in una condizione di ascolto, è come se il tempo venisse meno. Diviene allora possibile sperimentare momenti di straordinaria bellezza. È ciò che chiamo “l’abbraccio della dea Chione”.

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