Un bambino nella tempesta della storia

Un bambino nella tempesta della storia

È uscito il mese scorso il nuovo libro del filologo, drammaturgo e slavista Igor Sibaldi “La Russia non esiste”. Con questo romanzo di quasi mille pagine l’autore, si scosta dal precedente filone di opere filofofico-psicologiche per affrontare una narrazione storica. “La storia di Nil” questo il nome evocatore del protagonista (significa “niente” in latino) racconta il destino di un bambino nato in Russia nei primi anni del Ventesimo Secolo e lo segue fino alla fine della Seconda Guerra mondiale. La vita di Nil, trascinato suo malgrado nel vortice della guerra civile prima e del conflitto mondiale poi, è segnata da grandissime disgrazie ma anche da altrettante fortune che gli permetteranno di sfuggire alla sorte tragica di tanti suoi contemporanei.
Igor Sibaldi ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune domande sul suo libro.

 L’ho conosciuta alcuni anni fa come autore di libri di filosofia e come life coach. Che cosa l’ha spinta a scrivere un romanzo storico in apparenza lontanissimo dai suoi precedenti interessi?
La voglia di scoprire. Un bel momento della vita è quando, da bambini, o da ragazzi, ci si accorge di essere esploratori. Ognuno lo è. C’è da esplorare non soltanto il mondo attuale, ma anche le epoche passate, le possibilità future, e quel continente che ognuno ha dentro di sé, pieno di domande e di talenti. Ho cercato di non dimenticarmelo mai. E le domande e i talenti vanno di pari passo: se uno prende sul serio le proprie domande filosofiche, con un po’ di pazienza diventa filosofo. Mi è capitato. Quando ho avuto bisogno di sapere cosa dicono veramente la Bibbia e i Vangeli, sono diventato filologo, esperto in ebraico e greco antico. Qualche anno fa, ho cominciato a chiedermi: esiste il cosiddetto destino, cioè quella forza d’inerzia, prodotta da tanti errori commessi da noi, dai nostri avi, dal popolo e dalla civiltà in cui viviamo? E si può esserne liberi? In che modo? A questa domanda non bastavano né la filosofia, né la filologia e nemmeno la psicologia. Era necessario un romanzo, ampio, storico. Così, con un po’ di pazienza, ho scritto un romanzo storico, su un bambino che voleva essere felice nonostante tutto.

La Russia non esiste ha sicuramente richiesto una vasta e profonda ricerca e la consultazione di moltissimi documenti. Quanto tempo ha impiegato a scriverlo?
L’ho scritto in tre anni, ma studiavo da tempo la guerra civile russa, gli anni Trenta e le vicende (sorprendenti) dei collaborazionisti – cioè di quei milioni di sovietici che, nel 1941, hanno smesso di obbedire a Stalin. La mia famiglia era passata attraverso quelle esperienze, e volevo capire. Poi, mentre scrivevo il romanzo, a ogni capitolo si aprivano argomentii storici di cui sapevo poco o niente: i “bambini randagi” degli anni Venti, le tecniche della polizia politica e degli attentati terroristici, le stragi in Ucraina, lo spionaggio sovietico e il controspionaggio nazista, e così via. Ma i memoriali, i libri sugli archivi, i lavori di grandi storici sono, oggi, facilmente accessibili.

Il cognome del suo protagonista, Kantorovič, è simile a quello dello storico e biografo di Federico II, Ernst Kantorowicz. Si tratta di un caso?
È una coincidenza. Kantorovič in russo, Kantorowicz in polacco, è un tipico cognome ebraico dell’Europa orientale. Il grande Ernst Kantorowicz era molto più ebreo, più colto, più coerente, del Nil Kantorovič del mio romanzo; hanno in comune soltanto una giovinezza avventurosa e molta fortuna.

Lei ha descritto molti personaggi veramente esistiti. Alcuni di questi sono famosi, come Stalin, Berija o Himmler, che però hanno un ruolo di secondo piano nella vicenda di Nil. Scrivere di personaggi del genere non deve essere difficile in quanto esistono moltissimi documenti e filmati su di loro. Molto più difficile invece è far rivivere i personaggi realmente esistiti ma di secondaria importanza storica, che nel romanzo hanno un ruolo fondamentale, come per esempio il generale Vlasov,  il giornalista Zykov o Zhìlenkov, il grande amico di Nil. In questi casi quale è stata la parte di ricerca e quale quella dell’immaginazione nel ricostruire il personaggio?
La ricerca storica mi è stata indispensabile anche per fare rivivere Vlasov, il goffo capo dell’Armata dei collaborazionisti russi, e Zykov, che era il suo ideologo, e l’affascinante Zhìlenkov, che a Berlino manovrava tra alta società e gerarchie naziste. Ma il modo i cui gli storici presentano queste tre personalità non mi ha convinto. Di Vlasov si parla come di un perfetto idealista o come di un ripugnante traditore, gli altri due sono ricordati come avventurieri. Dai loro scritti, da rari filmati, dalle fotografie e dalle testimonianze di chi li conobbe emergono qualità e difetti che in me hanno suscitato grande simpatia. Alcune loro frasi, battute e gaffes mi hanno spinto a raffigurarli diversi da come la storia ufficiale li ricorda. È un diritto riconosciuto a chi scrive romanzi storici.

Nel romanzo vi sono momenti di grande poesia, come quando la nonna di Maša racconta a Nil la fiaba dell’Uccello di Fuoco. La morale della fiaba è che non bisogna attaccarsi a niente per essere felici. Si può dire che in questa fiaba è riassunta tutta la filosofia del romanzo? Nil (che in latino, guardacaso, significa “niente”) si salva perché non si attacca a niente, né religione, né filosofia, né idelogia? È questo non attaccamento che gli permette di cavalcare il Lupo Grigio e di sfuggire alla sorte che attende molti dei suoi amici?
Se un romanzo avesse una filosofia, non sarebbe un romanzo ma un’opera di filosofia. Se questo romanzo fosse un’opera di filosofia, allora sì, si potrebbe dire che in quella magnifica fiaba è condensata una parte di quello che l’autore vuole insegnare. Ma quando qualcuno fa filosofia e si mette in testa di insegnare qualcosa, è perché vuole avere ragione. Un autore di romanzi non vuole mai avere ragione. Si limita a narrare.
Io narro che Nil, mascalzone affettuoso, scampa a varie sciagure perché non crede in niente, non si volta indietro, non vuole essere coerente. Non dico che sia nel giusto, e che vada imitato. È solo che di Nil ci si può innamorare, e Nil permette ai lettori di immaginarsi diversamente, magari pensando: “Cosa avrei fatto io al suo posto?” Dare un altro punto di vista è sempre un grande dono, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo. E Nil dà molti punti di vista nuovi.

Alla fine del romanzo Lei cita una poesia di Fëdor Tjutčev in cui si dice che la Russia non si capisce con la mente. È questo il messaggio che vuole trasmettere sulla Russia di oggi?
Tjutčev scriveva: “Nella Russia si può soltanto credere” nel 1866: a quel tempo suonava strano, ma in seguito Tjutčev storicamente ha avuto ragione. La Russia è ufficialmente sparita dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, è diventata l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. I comunisti sono internazionalisti, non ammettono l’idea di nazione e negli anni Venti il governo sovietico ha perciò abolito la nozione di Russia. C’erano ancora i russi, ma la Russia non c’era più. Stalin ha riproposto il nazionalismo nel 1941, al momento dell’aggressione nazista, e la seconda guerra mondiale si è chiamata, in Urss, “la guerra della patria”. Ma è durata poco e il termine URSS è rimasto, fino alla fine del XX secolo. Quindi, almeno quattro generazioni di russi sono vissute senza Russia, e tutt’a un tratto, con Putin, hanno ricominciato a credere che la Russia esistesse ancora. Quale Russia? La Russia era fatta anche di varie classi sociali sparite negli anni Venti e Trenta: borghesi, aristocratici, clero, intellettuali, contadini (massacrati a milioni durante la collettivizzazione), oppositori politici, alte gerarchie militari… Della Russia, oggi, non è rimasto quasi nemmeno il ricordo: l’ex-URSS è solo uno stato post-sovietico, che attraversa una profonda crisi di identità, per ora senza soluzione.

 

Igor Sibaldi: La Russia non esiste.Edizioni Mondadori

Comments are closed.